
La storia di Girolamo Segato, eclettico viaggiatore e scienziato dell’800, la cui fama è legata agli studi sulla pietrificazione dei corpi“Nessuno è profeta in patria”. Una massima che meglio non potrebbe riassumere la vita e l’opera del bellunese Girolamo Segato. Questo viaggiatore-scienziato del 1800 in passato fece molto parlare di sé, ma oggi pochi suoi compaesani ricordano chi fosse e di cosa si occupasse.
A riportare agli onori delle cronache questa singolare figura hanno contribuito recentemente alcune iniziative svoltesi a Firenze e addirittura in Giappone.Segato nacque il 13 giugno 1792 a Sospirolo (Bl), nella Certosa di Vedana, il 13 giugno 1792. Terzo di tredici figli, Girolamo manifestò sin da giovane intelligenza, curiosità e desiderio di apprendere. Incominciò a studiare chimica, botanica e mineralogia con l’aiuto del parroco di Sospirolo, ma i suoi interessi lo portarono successivamente a spostarsi anche in luoghi lontani.
Di lui si ricorda la varietà di studi e approfondimenti in diversi campi del sapere, tanto da essere considerato naturalista, preparatore anatomico, esploratore, geografo, egittologo, cartografo. Si è già detto che conosceva la chimica e la mineralogia, ma raccolse anche fossili e conchiglie, e ottenne un’ambra artificiale che lasciava intravedere le forme e i colori in essa contenuti. Segato si cimentò in esperimenti molto particolari, quali la pietrificazione dei tessuti animali e umani, riuscendo a mantenerne i colori originari e la primitiva flessibilità. Una specie di imbalsamazione, la cui idea, molto probabilmente, gli balenò durante il viaggio che fece in Egitto fra sfingi, piramidi e mummie.
Tra il 1818 e il 1823 egli visitò in lungo e in largo l’Egitto, partecipando a lavori per la realizzazione di canali, a spedizioni e a scavi archeologici. E fu proprio in occasione di queste esplorazioni alle piramidi che rinvenne cadaveri di uomini e corpi di animali pietrificati, rimanendo affascinato a tal punto dalla scoperta che decise di dedicarsi allo studio dei procedimenti di pietrificazione.Tornato i patria – anche perché il clima africano aveva minato la sua salute – si stabilì prima a Livorno e poi a Firenze, iniziando ad armeggiare con filtri e alambicchi per realizzare il suo sogno. Dopo aver esercitato la sua arte su insetti e piccoli animali, decise che era giunto il momento di sperimentarla anche sui tessuti umani. Così, come riusciva a ottenere dagli studenti dell’ospedale di Santa Maria Novella qualche “campione”, subito si cimentava a trasformarlo in pietra. Con esiti, a quanto pare, soddisfacenti, tanto da rifiutarsi di esibire questo singolare processo in pubblico per paura che qualcuno potesse carpirne il segreto.
La scoperta sollevò un grande interesse tra l’opinione pubblica che rimase meravigliata dalla possibilità di mantenere i tessuti umani intatti anche dopo la morte; scettici invece furono i medici che non riconobbero attendibile questo procedimento, e la Chiesa che giudicò il processo contrario alle leggi divine, chiamandolo con disprezzo “mago egiziano”.
Alcuni amici per ripagarlo delle delusioni – e la vita gliene riservò parecchie - ottennero che una sua relazione fosse letta di fronte alla società medico chirurgica di Bologna. Ma la sua fama di “pietrificatore” non gli diede da vivere. Dal suo ritorno in Italia, infatti, fu continuamente assillato da problemi economici, dei quali non si libererò più, anche per imprevedibili disavventure, come ad esempio quella relativa alla pubblicazione di saggi pittorici, geografici, statistici, idrografici e catastali sull'Egitto, per i quali prima gli furono negati i finanziamenti e poi subendo il furto di danaro e del materiale relativo al primo fascicolo da parte del socio con cui si era messo in affari. A causa delle molte invidie e di qualche pregiudizio furono ostacolate le sue ricerche e negata la cattedra di “chimica tecnologica” all’Università di Bologna, nonostante dichiarò che nella veste di docente avrebbe svelato il mistero dei suoi esperimenti. La vita di tutti i giorni diventò sempre più difficile, obbligandolo a chiedere prestiti alla famiglia e agli amici più influenti. Sempre più deluso dal mondo, ma soprattutto dagli uomini, fece testamento e bruciò i suoi preziosi appunti sulla pietrificazione per impedire che qualcuno se ne appropriasse. Dieci giorni dopo, il 3 febbraio 1836, morì in seguito ad un attaccio di polmonite.